Secondo i dati rilasciati dal Ministero dell’Istruzione, la dislessia è il disturbo più presente nelle scuole italiane. Eppure, ancora troppo spesso i sintomi sono confusi con la pigrizia, o con la mancanza di applicazione.
Per approfondire l’argomento ci siamo recati nella sede di Parole in Movimento, un centro multi-professionale milanese specializzato nel trattamento dei disturbi evolutivi e delle condizioni neuropsichiatriche di tutte le età. Ci hanno aperto le porte le dottoresse Rossella Balice, logopedista di trentennale esperienza e fondatrice del centro, ed Elisa Ceriani, pedagogista specializzata nel disturbo dell’apprendimento e difficoltà scolastiche.
Di che cosa parliamo quando parliamo di dislessia?
[R. Balice] La dislessia è parte dei cosiddetti disturbi dell’apprendimento, chiamati anche DSA. È una neuro diversità, ciò significa che non è una malattia da cui si può guarire, ma una condizione strutturale con cui il soggetto nasce. In sé, la dislessia causa una lettura frammentaria, ricca di errori e poco fluente.
Chi non vive la dislessia in prima persona fa un po’ fatica a immaginarsela. C’è per caso un’immagine che possa spiegare meglio questa condizione?
[R. Balice] La dislessia non è una difficoltà di apprendimento dei contenuti, ma un ostacolo al processo di apprendimento. Ed è così che io me la immagino: come un ostacolo, una siepe, che un cavallo deve superare durante una gara.
Se si attivano gli interventi corretti, nel giusto tempo, la siepe può essere superata. In caso contrario, il soggetto si ritroverà ad avere difficoltà importanti nell’accedere ai contenuti da studiare, e così la ricaduta diventerà sempre più ampia fino a colpire non solo la lettura in sé, ma anche tutto ciò che si può acquisire durante un percorso scolastico.
Se la dislessia non è una malattia da cui si può guarire, quali sono gli interventi che si possono mettere in pratica?
[R. Balice] La legge 170 stabilisce la seconda elementare come epoca della diagnosi. Ma sappiamo che spesso ci sono degli indici predittivi, che si possono individuare già nei primi mesi della scuola elementare, se non persino nella scuola materna.
Una volta identificati gli indici predittivi, è necessario condurre un’indagine adeguata, così da arrivare a un’eventuale diagnosi. Questo è un lavoro che possono fare solo enti pubblici o equipe autorizzate, come la nostra, per poi predisporre tutta la serie di interventi di potenziamento che devono accompagnare un’attività di counseling con la famiglia e un importante lavoro con la scuola.
[E. Ceriani] Mi allaccio a questo discorso, per sottolineare ancora di più la centralità del ruolo della scuola. Già nel biennio della scuola primaria, circa il 20% dei bambini può presentare una difficoltà all’avvio dell’apprendimento di lettura, scrittura e calcolo. È qui che devono entrare in gioco i percorsi di potenziamento mirati da parte della scuola, anzi, ancora più specificatamente da parte degli insegnanti.
All’interno di questa percentuale, i bambini che non raggiungono miglioramenti significativi arriveranno a sviluppare il disturbo specifico di apprendimento. È in questa circostanza che diventa necessaria la segnalazione. Prima di tutto alla famiglia, affinché diventi consapevole della situazione e si affidi a una struttura competente e qualificata.
[R. Balice] E io vorrei chiudere evidenziando ancora di più la fondamentale importanza del lavoro di rete che bisogna costruire attorno al soggetto DSA. La struttura, o l’equipe specialistica, dovrebbe diventare interlocutrice privilegiata della scuola, in modo da non limitarsi a redigere un piano d’azione. Ogni intervento deve essere concretamente attuato, monitorato e personalizzato.
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