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L’arrivo del Coronavirus ha segnato, per l’Italia come per il resto del mondo, una cesura indelebile. A livello sanitario, anzitutto, ma è ben noto anche il drastico cambiamento avvenuto nel mondo del lavoro. Dall’incremento della disoccupazione all’ormai diffuso processo di digitalizzazione delle imprese, dallo smart working all’impennata del commercio online.

Sebbene sia difficile formulare un valido pronostico sulla situazione lavorativa, almeno italiana, negli anni a venire, sembra già che alcuni cambiamenti siano irreversibili.

Il lavoro a distanza rientra in questa sfera, tant’è che sarà adottato, anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria, dal 54% delle aziende in modo permanente. Chiaramente, facciamo riferimento ai settori che consentono lo smart working, quindi la sfera dei servizi e, in misura minore, la manifattura.

Ma c’è un’altra trasformazione in atto, che rappresenta un forte rischio per oltre 1,5 milioni di lavoratori messi in cassa integrazione durante i lockdown. L’emergenza sanitaria ha accelerato bruscamente il processo di digitalizzazione delle aziende, processo che era previsto in tempi e modi molto più dilatati.

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Ora, secondo il Rapporto del Centro Studi Luigi Einaudi, molti dei lavoratori che hanno perso l’impiego a causa della pandemia difficilmente saranno richiamati alle loro vecchie mansioni. Di più, una forte percentuale di questi ultimi non possiede le competenze digitali sufficienti per trovare una nuova occupazione.

Questi fatti portano alla luce almeno due constatazioni:

  • l’arretratezza dell’impresa italiana, rispetto al resto del mondo, in ambito di digitalizzazione
  • la necessità, da parte del singolo lavoratore, di reinventarsi e acquisire nuove competenze, in un mondo lavorativo in cui la tecnologia è parte integrante del tessuto aziendale

In caso contrario, si rischia di arrivare a una situazione paradossale, in cui a una forte domanda di impiego i lavoratori disoccupati non sarebbero in grado di rispondere.