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I social network, insieme alle moderne tecnologie di telecomunicazione, hanno mutato in modo irreversibile il nostro modo di comunicare e di comportarci. Stiamo conoscendo, e al tempo stesso imparando, nuovi modi per informarci sul mondo, per interagire con il prossimo, per dare e ricevere consensi.

Tuttavia, gli effetti della digitalizzazione nel contesto comunicativo e comportamentale sono ancora poco chiari e, soprattutto, poco studiati. È stato questo il punto di partenza per il lavoro di diciassette ricercatori, provenienti da prestigiose università di ogni parte del mondo, che hanno collaborato nella realizzazione di uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.

Secondo i ricercatori, si dovrebbe guardare all’impatto dei social network sulla società come a una vera e propria materia di crisi, non diversamente da come si studia il problema del cambiamento climatico, o della salvaguardia di specie in via d’estinzione.

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La struttura dei social network e le relative logiche interne sono modellate da decisioni ingegneristiche che puntano alla massimizzazione degli introiti, senza tenere conto degli enormi cambiamenti prodotti sulla società. Gli algoritmi – le fondamenta di questo sistema – sono progettati per raggiungere l’obiettivo profitto, senza alcun incentivo verso la promozione di una società più informata, sana e consapevole.

Uno dei pericoli maggiori a cui è sottoposto l’utente è la disinformazione. Una massa di dati e di contenuti difficilmente controllabili si riversa sulla rete, portando con sé il rischio possibile, se non probabile, di suscitare falsi allarmi e conflitti, di incitare al razzismo o a violenti estremismi, di farsi nemici il buonsenso e il progresso scientifico.

La speranza è che gli utenti digitali, durante le navigazioni in rete, si abituino a verificare le fonti delle notizie che incrociano. Una speranza lecita, che tuttavia non è confortata da alcun dato oggettivo.

Una soluzione concreta consiste nella condivisione dei dati tra le società che gestiscono queste piattaforme e i ricercatori. Una simile collaborazione già esiste, tuttavia la densità delle informazioni in uscita resta inevitabilmente appannaggio dell’azienda, sottoposta al suo controllo.